Aspetti della riforma dell’opera seria nel repertorio operistico romano di fine Seicento. Storia materiale della rappresentazione, drammaturgia ed estetica.

Barbara Nestola

La riforma dell’opera seria italiana a cavallo tra Sei e Settecento deve molto alla riflessione di letterati e librettisti dell’Arcadia come Silvio Stampiglia, Apostolo Zeno, Carlo Sigismondo Capece. Ciononostante, a differenza di quanto era accaduto nel Seicento sul versante francese, dove parallelamente alla produzione drammatica aveva avuto luogo una sistematizzazione teorica operata in alcuni casi dai poeti stessi (ad esempio Corneille), la riforma dell’opera italiana non è stata accompagnata da teorizzazioni coeve specifiche. Le principali fonti per la sua comprensione restano i libretti, ispirati al teatro classico francese, di cui imitano i soggetti e l’estetica (riduzione del numero dei personaggi, semplificazione dell’azione, separazione tra genere serio e comico, etc.). Fra gli elementi costitutivi del dramma classico figura anche la bienséance, intesa comme l’aderenza tra il personaggio e l’azione che svolge. L’estetica dell’opera italiana del XVII secolo, soprattutto la produzione veneziana, tendeva a privilegiare l’intrattenimento piuttosto che l’osservanza delle regole classiche, portando spesso in scena situazioni audaci e anticonformiste. È dunque plausibile che il ripristino della bienséance facesse parte degli obiettivi della riforma. La mia ricerca verterà sullo studio delle condizioni materiali di rappresentazione delle opere romane della fine del XVII secolo nell’intenzione di elucidare quest’aspetto. A questo proposito, verranno prese in esame sia le produzioni originali di opere romane che le riprese di titoli veneziani o napoletani. Attraverso il confronto incrociato di libretti, partiture, testimonianze coeve e documenti d’archivio, si intende mettere in luce e analizzare questa specificità del repertorio romano nel contesto dell’imminente riforma.