05-06 / 122017

Resoconto del terzo seminario scientifico

Roma, École Française de Rome, 5 dicembre 2017

 

Relatore ospite: Arnold Witte (Universiteit van Amsterdam – Reale Istituto Neerlandese di Roma)

Discussant: Stefano Lorenzetti (Conservatorio A. Pedrollo, Vicenza)

 

Incontro in presenza dei seguenti membri dell’Équipe di ricerca: Michela Berti, Orsetta Baroncelli, Diana Blichmann, Marco Cavietti, Teresa Chirico, Émilie Corswarem, Valeria De Lucca, José María Domínguez, Cristina Fernandes, Gloria Giordano, Anne-Madeleine Goulet, Barbara Nestola, Élodie Oriol, Chiara Pelliccia, Foucauld Pérotin, Aldo Roma, Huub Van der Linden e Giulia Veneziano.

 

Dopo le parole di accoglienza di Fabrice Jesné, Directeur des études pour les époques moderne et contemporaine dell’École française de Rome, l’incontro è stato aperto dai saluti della direttrice del progetto, Anne Madeleine Goulet, che ricollegando la metodologia del seminario con quella del precedente, svoltosi a Tours nel settembre 2017, ha sottolineato l’importanza di aprire gli obiettivi di PerformArt oltre i limiti cronologici e geografici del progetto e del singolo incontro. 

Emilie Corswarem e Cristina Fernandes, responsabili scientifiche del seminario, hanno poi presentato il lavoro scientifico. Entrambe hanno sottolineato, introducendo la conferenza di Witte, il ruolo di mediazione svolto dai cardinali nella rete europea di circolazione culturale delle arti e alcuni dei problemi della ricerca sul mecenatismo cardinalizio: la tipologia complessa dei cardinali, la varietà istituzionale e giurisdizionale dei luoghi in cui il loro mecenatismo si esplicitava (collegi, accademie, teatri), il rapporto con il cerimoniale tra perfomance e teatralità e la ricerca di modelli di studio che permettano di andare oltre quanto proposto da Claudio Annibaldi nella visione di un mecenatismo basato sull’interscambio di protezione e di sottomissione. Argomenti, questi, sui quali il dibattito è stato articolato soprattutto durante la discussione successiva alla conferenza.

Il contributo di Arnold Witte, dal titolo “Committenza senza gusto”: i cardinali, le istituzioni e le arti tra Seicento e Settecento ha posto al centro la problematica del concetto di ‘gusto’ negli studi sulla committenza cardinalizia di epoca moderna e l’importanza di tenere nella giusta considerazione le dinamiche della committenza ‘istituzionale’ per un cardinale del Sei- e Settecento. Witte ha chiuso la sua relazione con una provocazione metodologica che, ben inquadrata nel titolo, ha riassunto lo spirito polemico del suo contributo: «gli studi sul mecenatismo dovrebbero fare a meno del termine ‘gusto’, sia per noi come ricercatori che in riferimento all’oggetto delle nostre ricerche, cioè i cardinali nella prima età moderna». La relazione ha preso le mosse da una critica storiografica ben circostanziata alle proposte sul mecenatismo canonizzate dal libro di Francis Haskell fondato sul concetto di ‘gusto’ e agli studi posteriori che hanno assunto implicitamente il suo approccio. Il ‘gusto’ per Haskell sarebbe la chiave che, agli occhi del ricercatore, fa comprendere il mecenate come un amateur delle arti. A fronte di questa visione, Witte ha proposto, invece, di porre l’accento sul cardinale non come individuo ma come funzionario nella gerarchia ecclesiastica, osservando quindi il cardinale come funzione più che come persona dotata di un certo ‘gusto’ per le arti. Una funzione definita dalla regolamentazione giuridica a cui era sottoposta la figura del cardinale.

La prima parte della conferenza si è concentrata su alcune premesse sottese allo studio del mecenatismo culturale. Così l’‘accademizzazione’ delle arti si potrebbe mettere in rapporto con una domanda di ricerca alla base di molti degli studi sul mecenatismo: il mecenate aveva un ‘gusto’ reale, era un vero amateur come si deduce sovente da inventari o carteggi con artisti e letterati? Tuttavia questa prospettiva porta spesso a dimenticare o quanto meno a sottovalutare altri aspetti come, per esempio, il contenuto iconografico di opere prodotte in un determinato contesto di mecenatismo. Witte ha proposto quindi di considerare l’origine del concetto attuale di ‘gusto’ nella cornice dell’empirismo inglese del Settecento, esplorandone alcuni significati seicenteschi – precedenti dunque all’adozione del termine nell’accezione attuale nel Dizionario della Crusca del 1729 – giungendo a sottolineare la problematicità di applicare alla Roma tra Sei e Settecento un termine e un significato sviluppatisi in un contesto cronologico e geografico tanto differenti. 

La seconda parte della conferenza si è concentrata sulle conseguenze di un concetto di mecenatismo dipendente dell’idea di ‘gusto’ per lo studio della committenza cardinalizia. Per andare oltre l’approccio biografico (legato al cardinale come individuo) e sottolineare invece l’identità gruppale e di funzione del cardinale di età moderna, Witte ha riesaminato i riferimenti alle arti nei trattati di Paolo Cortesi (De Cardinalatu, 1510), Giovanni Botero (Dell’uffitio del cardinale, 1599) e Fabio Albergati (Del Cardinale, 1589). Ha messo in luce così le derivazioni platoniche e aristoteliche di tali riferimenti, in particolare negli ultimi due trattati, più che il loro rapporto con la pratica artistica o musicale dell’epoca, ma anche il carattere eccezionale dei trattati stessi di Botero e Albergati, nell’insieme della trattatistica cinque-  secentesca sui cardinali.

La terza parte della conferenza ha ripreso la critica storiografica degli storici dell’arte che, secondo il modello di Haskell, hanno tentato nei loro studi sui cardinali di mostrare come ciascuno di essi oltrepassasse i suoi pari in fatto di mecenatismo. Così succedeva con gli studi di Clare Robertson (sul cardinale Alessandro Farnese), di Wazbinski (Francesco Maria del Monte) o di Lisa Beaven (Camillo Massimo), tra gli altri. A fronte di questa tendenza, altri studiosi hanno sviluppato approcci diversi, considerando il fenomeno del mecenatismo oltre la singola biografia, come per esempio Arne Karsten nel suo recente Künstler und Kardinäle. Così la quarta parte della relazione di Witte ha preso in esame l’apporto benefico di questi nuovi approcci, nel tentativo di superare gli effetti del concetto di ‘gusto’ e di ‘qualità’ nella comprensione della logica del mecenatismo. La proposta metodologica più interessante si è basata sull’articolo di Eric Wolf “Friendship, Kinship and Patron-Client Relations in complex societies”. Per Witte, la definizione di Wolf delle società complesse come miscele di strutture formali e informali permette di andare oltre l’opera d’arte concreta e considerare le relazioni formali (derivate della struttura ecclesiastica) ed informali (i rapporti di amicizia) nella ricerca sul mecenatismo cardinalizio. Entrambi i contesti sono stati esplorati da Witte nell’ultima parte della conferenza. I vincoli del cardinale con la sua chiesa titolare (di forte natura giuridica) si concretizzavano in molte azione di mecenatismo (dalla musica per il possesso alla decorazione della chiesa che diventava nel susseguirsi di tanti cardinali un vero palinsesto artistico). I contatti informali erano invece più decisivi nei rapporti di protezione di istituzioni (congregazioni, confraternite, luoghi pii e teste coronate) che facevano parte del sistema di mecenatismo.

Nella discussione che è seguita, Lorenzetti ha posto il problema dell’identità cardinalizia come qualcosa che si aggiunge a identità preesistenti (personali, familiari, di sfere politiche, ecc.), chiedendosi in che misura questa identità aggiunta incideva su di esse e le modificava, quali obblighi istituzionali assumeva il nuovo cardinale e se realmente ci fosse una formula del mecenatismo che possiamo oggi definire propriamente cardinalizia. Pur concordando con Witte riguardo al fatto che la nozione di ‘gusto’ fosse estranea ai Nostri attori di epoca moderna, Lorenzetti ha espresso che una riflessione sulla dimensione estetica debba comunque essere fatta, almeno riguardo all’idea di profondità dell’apparire. Egli ha sottolineato che non si può considerare la trattatistica sui cardinali disgiunta dai trattati che definiscono il sistema identitario della nobiltà italiana (nobiltà basata sul comportamento e tanto diversa da quella francese basata sul sangue), anche ricordando che De cardinalatu è coevo al Cortegiano di Castiglione. Infine Lorenzetti ha considerato le possibilità di andare oltre la proposta del mecenatismo funzionale di Annibaldi riprendendo la svolta che lo stesso Annibaldi ha proposto più di recente: considerare la musica come estetizzazione dell’esistenza. Il ruolo della musica termina nell’assolvimento della sua funzione o c’è qualcosa in più? Lorenzetti ha chiuso chiedendosi se sia possibile prospettare un’idea di mecenatismo come fenomenologia della disubbidienza.

 

José María Domínguez

Chiara Pelliccia

 


Resoconto del quinto workshop dedicato al “Database PerformArt” (versione 0.6.1)

École française de Rome, 6 dicembre 2017

 

Mattina.

Anne-Madeleine Goulet apre la sessione presentando lo stato attuale del database, che offre due livelli di lavoro:

  1. Concezione dello strumento informatico, effettuato in concertazione quasi giornaliera con Foucauld Pérotin (anticipazione delle problematiche, rispondere ai problemi di utilizzo…)
  2. Supervisione degli utilizzatori nel percorso di inserimento dati. 

 

Dopo un anno di sviluppo costante, lo strumento è operativo ed efficace. A questo stadio è quindi possibile servirsene per realizzare delle ricerche vere e proprie. Viene sottolineata l’importanza del lavoro di gruppo per arrivare ad un panorama completo (e complesso) della questione romana. Se in un primo momento è stata data un’importanza maggiore alla scheda “Documento”, non bisogna dimenticare che l’originalità del database risiede nel fatto di proporre altri tipi di schede, situati sullo stesso livello: Opere, Persone, Eventi, Luoghi, etc.

 

Si pone quindi la questione della gestione e della supervisione dei dati. Accogliendo una proposta di Huub Van Der Linden, verrà nominato un supervisore primario per ogni tavola del database, che lavorerà in stretto contatto con Michela Berti, amministratrice del Database. Huub Van Der Linden si occuperà delle Persone, Michela Berti degli Eventi, Elodie Oriol delle Collettività, Orsetta Baroncelli e Marco Cavietti dei Documenti, Christine Jeanneret delle partiture, Barbara Nestola dei Libretti.

 

Anne-Madeleine Goulet presenta le schede “Evento” e “Persona”, per mostrare che tipo di ricerca è possibile effettuare. Lo scopo della scheda “Persona” è di poter ritrovare velocemente tutte le informazioni a proposito di una persona e di presentare un CV più completo possibile, tenendo conto dei nuovi documenti emersi nell’ambito delle ricerche d’archivio. La scheda “Evento” presenta tre sotto-categorie: evento storico, familiare, spettacolare.

 

Michela Berti effettua una prima presentazione del thesaurus, qui inteso come un vocabolario gerarchico controllato che descrive in tutti i suoi aspetti la vita spettacolare del Sei e Settecento romano. Utilizzabile, a termine, da tutti i ricercatori e dalle istituzioni esterne al progetto. Sei grandi categorie sono state identificate: Persone, Luoghi, Soggetti, Oggetti, Forme Letterarie e Musicali.

 

Pomeriggio.

Foucauld Pérotin presenta le “qualificazioni”, spiegandone la funzione e l’utilizzo. Si possono combinare descrittori, link e qualificazioni per fare delle ricerche. Viene fornito un esempio attraverso l’uso simultaneo di quattro tavole: Thesaurus, Persone, Evento, Link.

Differenze fra qualificazioni e descrittori: vi è una sola qualificazione per ogni link, mentre i descrittori possono essere molteplici, senza limitazioni. Per la qualificazione, ci puo’ essere una data o un intervallo di date, mentre per il descrittore non c’è necessità di date. Le qualificazioni possono essere attestate (basate su documenti o su riferimenti bibliografici), mentre questo non serve per i descrittori. Per le qualificazioni, all’interno di ogni tipo puo’ esistere una lista, mentre i descrittori sono organizzati secondo un thesaurus (linguaggio strutturato secondo una gerarchia). Si tratta di funzioni complementari.

 

Anne-Madeleine Goulet & Michela Berti presentano le novità del database:

  1. Il campo “collocazione” e “sigla” della scheda documento. Il campo collocazione sarà il solo ad essere visibile. Il campo sigla resterà ad uso interno. Entrambi possono essere modificati manualmente dai contributori.
  2. La scheda iconografia: è ora possibile vedere le immagini. Importante assicurarsi che i link tra scheda iconografia e scheda documento siano effettuati correttamente.
  3. Scheda libretto: possibilità di aggiungere un PDF.
  4. Scheda bibliografia: si possono inserire URL verso oggetti digitalizzati.
  5. Navigazione tra le schede: si puo’ cliccare sui link automatici.

 

Barbara Nestola

 


Resoconto della visita guidata al Palazzo Pamphilj

Mercoledì, 6 dicembre 2017, seconda giornata del terzo incontro PerformArt 2017, l’équipe del progetto, Arnold Witte e Stefano Lorenzetti hanno partecipato a una visita guidata da Blanche Bauchau a uno dei gioielli dell’architettura del Barocco romano. Meta era il Palazzo Pamphilj situato a Piazza Navona che dal 1930 è sede dell’ambasciata Brasiliana, residenza dell’ambasciatore e nel 1960 è stato venduto dall’omonima famiglia al Brasile.

Il palazzo nasce dal matrimonio di Angelo Benedetto Pamphilj, figlio di Antonio (primo membro della famiglia Pamphilj di Gubbio che viveva a Roma durante la metà del Quattrocento), e Emilia Mellini. La sposa portò in dote tre case adiacenti che, insieme con altre case acquistate in zona, formano il primo nucleo dell’unico palazzo nobile collocato a piazza Navona che all’epoca era un giardino. Quando nel 1644 Giovanni Battista Pamphilj, cognato di Donna Olimpia, divenne papa con il nome Innocenzo X, la famiglia decise di fare diventare il palazzo più prestigioso e iniziò la nuova e imponente costruzione per la quale furono incaricati Francesco Borromini e Girolamo Rainaldi.

Durante la vista guidata, l’équipe ha avuto la possibilità di vistare alcune delle 23 sale al piano nobile. Risalgono alla metà del Seicento la Sala di Bacco affrescata da Andrea Camassei con momenti diversi della vita di Bacco, la Sala dei Paesaggi realizzata da Giacinto Gemignani e Gaspard Dughet con affreschi riguardanti la storia di Roma e la Sala di Ovidio con un soffitto dipinto da Giacinto Brandi che presenta le metamorfosi di Ovidio. Altre sale furono affrescate da pittori quali Francesco Allegrini e Pier Francesco Mola. Durante la visita l’équipe è rimasta impressionata dalla Galleria progettata da Borromini, lunga 33 metri, che attraversa tutto il palazzo. Questa sala, addossata direttamente alla chiesa di Sant’Agnese, ospita un busto di Innocenzo X, ma è soprattutto famosa per gli affreschi realizzati tra il 1651 e il 1654 da Pietro da Cortona che dipinse lo spettacolare soffitto a compartimenti con le storie di Enea. Il motivo dei tre gigli e la colomba (stemma dei Pamphilj) è ricorrente non solo in questa sala ma in tutto il palazzo. Nella sala del Cortona in particolare la colomba ha un significato specifico perché è un attributo della dea romana Venere, madre di Enea, al quale la colomba appare nell’episodio del ramo d’oro.

Sicuramente notevole ed elemento d’interesse per il progetto PerformArt è la Sala Palestrina. Dopo il matrimonio di Anna Pamphilj con Giovanni Andrea III Doria nel 1671 la famiglia s’insediò nel nuovo edificio al Corso. Una volta dato in affitto il palazzo a Piazza Navona, tra gli altri all’Accademia Filarmonica Romana, in questa sala sono stati organizzati Accademie musicali ed eventi concertistici che talvolta potevano ospitare fino a 130 musicisti.

Con questa vista al Palazzo Pamphilj si è concluso con grande soddisfazione l’incontro dell’équipe del progetto.

Diana Blichmann